24 febbraio, 2011

Il Mediterraneo: fonte di problemi o possibilitàdi crescita

In questo periodo di rubacuori, di proteste in piazza valide solo per le copertine, di dissidenti che lanciano il sasso e nascondono la mano, nei paesi mediterranei vicini a noi qualcosa si muove.
In Tunisia si è partiti per abbattere Ben Ali, in Egitto si è riusciti a far scappare Mubarak (n.b.in due facevano circa 53 anni di governo 23-30 nei loro paesi); anche nella stessa Libia la leadership di Gheddafi, che probabilmente non cadrà,è stata messa in discussione con proteste di piazza seguita da decine, o forse centinaia o migliaia di morti.
Non sappiamo ancora a cosa sia dovuto questo cambiamento: c'è la mano di Al Qaeda forse, o niente meno che l'America (o meglio i suoi servizi segreti), o forse ancora qualche altro potere trasversale che noi non possiamo di certo fermare ne tantomeno conoscere.
Fatto sta che l'Africa è il continente del futuro, quello in cui c'è la maggior possibilità di investire risorse.
E guarda caso l'Italia è il paese europeo che, rispetto al nord Africa, vanta la posizione migliore.
Allora mi piacerebbe pensare ad una mossa politica, come in una sorta di risiko dell'investimento, del nostro paese:
dal momento che il nostro nord del paese è una tra le aree più ricche e prospere di tutto il continente e non ha bisogno di sussidi per restare in piedi e crescere, perchè non si investe nel sud come ponte di collegamento e come punto di sviluppo dell' Italia verso le economie africane.
Potrebbe realmente essere il modo per "liberare" il nord Italia (leghista) dal continuo peso di una economia meridionale rimasta a 60 anni fa, e per far si che il sud possa crescere e svilupparsi non per forza solo all'interno dei confini nazionali, dove fa comunque fatica ( per tutta una serie di ragioni sociali, politiche e legate ad altri aspetti, uno su tutti la criminalità organizzata).
Chiaramente sarebbe un progetto non semplice da realizzare, audace , forse un pizzico utopistico, ma che consentirebbe al nostro paese di poter continuare a dire la propria in un quadro economico che, per molteplici aspetti, ci vede come uno stato sempre meno importante e sempre meno influente.

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